La cucina dell’Isola d’Elba è da considerarsi parca anche nei piatti più elaborati. Tutto questo sta a significare che le nozioni culinarie degli elbani sono il frutto di una teoria ininterrotta di migrazioni, occupazioni da parte di popoli diversi, uniti dalla povertà, dal destino di lavoro duro (in miniera, sul mare, delle vigne). Ma anche una storia povera vissuta in cucina può dare risultati sorprendenti per schiettezza e bontà. Analizzando le emergenze gastronomiche dei diversi paesi isolani si nota che l’apporto maggiore di originalità lo fornisce il versante minerario.
Successivamente (XVII sec.) altri piatti poveri come la sburrita, il gurguglione e lo stoccafisso, entrarono a far parte della cucina dell’isola d’Elba importati direttamente dagli spagnoli, o attraverso i soldati napoletani che costituivano la guarnigione di presidio della parte sud-orientale dell’isola, sottoposta al governatorato spagnolo.
A Rio si nota immediatamente la forte influenza orientale. Dal tredicesimo al sedicesimo secolo fino alla costruzione di Cosmopoli (Portoferraio) le invasioni saracene si susseguirono frequenti e i pirati barbareschi lasciarono dietro di sé oltre l’amaro ricordo di saccheggi e distruzioni anche qualcosa di dolce. E’ il caso della schiaccia briaca (originariamente astemia visto il Corano) che raccoglie ingredienti tipici della cucina medio orientale (pinoli, uvetta di Smirne, noci). Il vino Aleatico, componente irrinunciabile nella versione attuale è un’aggiunta ottocentesca, così come le noci, non prodotte all’isola e quindi assai costose. La versione ottocentesca prevedeva l’impiego del miele isolano al posto del raro e costosissimo zucchero. La schiaccia che ne risultava, senza lievito né uova, era a lunghissima conservazione e quindi adattissima a far parte delle provviste dei nomadi e dei marinai.
Antichissima è la maniera di preparare le “imbollite” sorta di focaccine a base di fichi grasselli che abbondano in questi luoghi.
La sportella invece è una sorta di pane con gli anaci, oggi più raffinato di un tempo, quando assieme al cerimito erano oggetto di scambio, tra fidanzati, durante le festività pasquali. La forma che richiama il simbolo dei due sessi vuole essere di auspicio per una futura fertile stagione.
La caccilebbora, anche questo pane anisato con un uovo in mezzo, dalle origini antichissime richiama l’augurio alla fertilità.
La grande quantità e la buona qualità del pesce favorisce la preparazione di piatti come il polpo lesso, che all’Elba si mangia “alla forchetta”, gli zerri fritti, o marinati, la zuppa di favolli, i totani e le seppie cucinati in vari modi, le minestrine di pesci di scoglio e bietole, gli spaghetti con la margherita, e tanti altri.
Il cacciucco, cosi com’è oggi, narrano le cronache dell’epoca, veniva preparato anche quando Napoleone era l’ospite elbano più illustre.
Marciana e Poggio sono famosi per i dolci come il corollo e la schiacciunta, fatta con lo strutto di maiale, che trovano la loro “morte” affogati in un ottimo bicchiere di moscato, di aleatico o di ansonica passita.
Molto ricercate dai buongustai sono le aragoste e le margherite o granzeole che i pescatori di Marina di Campo pescano in determinati periodi dell’anno.
In conclusione appare chiaro come la diversa dislocazione degli abitanti caratterizza la cucina elbana. I paesi situati in collina o in montagna hanno una tradizione basata sui dolci e sui pani di varia forma e confezione, mentre “le marine” ci offrono piatti principalmente a base di pesce. Vediamo quindi, come nel passato esisteva una differenziazione culinaria tra i monti e il mare; al giorno d’oggi si tende ad una omogeneità, pur nella varietà. Infatti nella tradizione culinaria elbana si trovano piatti che hanno origine toscana, ligure, provenzale, e anche di derivazione piratesca.
Alvaro Claudi (gastronomo)